
È ancora notte.
Intorno a me, è ancora buio.
Si sente la pienezza del nulla.
Una densità opaca, sorda.
La sensazione viscerale del vuoto.
Un nero denso. E soltanto... me.
Non ho mai avuto paura dell’oscurità,
né di quella sensazione che scava e resta.
Ho sempre visto attraverso.
La mia percezione non mente.
Come un cieco che non vede, ma ascolta tutto.
Sentivo un vento leggero.
I miei sensi inebriati, sballottati, come smarriti.
Un nuovo stato mi chiamava.
E dietro quel sentire…
c’era una luce.
Un sole.
Lo stesso che cercavo dentro me.
Densificavo il buio del mio nulla,
spingendomi fino ai suoi margini.
E forse, in un angolo disperso e profondo,
l’avrei trovata.
Percepivo che vi era ancora una traccia.
Una radiazione remota.
Come l’impronta di una nascita, o di una separazione.
Ma arrivai là, nel punto più buio.
Scoprii una stanza dimenticata.
Una di quelle che si puliscono sempre per ultime.
Il ripostiglio.
Pensai:
“Magari, per sbaglio, è finita proprio lì.
Tra l’inutile e l’utile.”
Dove nessuno guarda mai.
Dove io stessa non avevo più cercato.
Forse l’ho nascosta io.
O forse Dio, ed io non l’ho capito.
Ma Lui…
Lui, che mi ha sempre saputa,
prima ancora che io cercassi quella luce,
l’aveva già lasciata lì.
In bella vista.
Nel momento giusto l’avrei trovata.
Per non rovinarla.
Per non spegnerla.
Per comprenderla.
E se mai ho creduto di aver visto la luce,
era solo un riflesso.
Un riflesso di quella che, silenziosa,
era sempre stata dentro me.
Aggiungi commento
Commenti